Si guarda spesso alle discariche come luoghi di disperante schifezza, inecologici territori da cui tenersi lontani. Io che ho giocato da bambino su una grande discarica ne conosco il potenziale insalubre e, anche, il vasto respiro lirico.
Su queste lande martoriate e smosse, la natura riparte e si riprende i suoi spazi.
Nella nostra civiltà, sono gli spazi marginali quelli in cui la natura può manifestarsi e sono gli stessi dove i bambini possono trovare aree di autonomia e di libertà. La discarica diventa allora spazio di resistenza, di resilienza.
Esistono poi le discariche naturali. Situazioni in cui ciò che cade o viene rilasciato si ritrova in inediti ammassi e forme. Qui l’aspetto sgradevole non corrisponde all’inquinato intervento umano, è solo la forma che la natura assume e riassume cambiando e ricreando se stessa.
La discarica naturale è quindi un luogo onirico in cui gli scarti di qualcosa, di già servito e morto, rilasciati nel vento o nelle acque si ritrovano in forme inattese che costruiscono altro. Forse l’anima, direbbe Hillman.