Perchè il Counseling è importante? Il livello sociale

Perché il Counseling è importante? Il livello sociale

Dopo aver spiegato in altri articoli cos’è il Counseling e cos’è il Counseling a mediazione naturale, in questo brano spiego perché questa pratica volta al benessere personale e sociale può essere importante.

A complemento in un altro articolo propongo, attraverso ricerche, cosa accade a livello individuale.

Il Counseling è una relazione d’aiuto svolta in modo competente da un professionista e ha come fine il miglioramento della qualità della vita e un maggior benessere personale e sociale.

La vita di tutti noi non si svolge nel vuoto, ma all’interno di complessi sistemi familiari, sociali, culturali che caratterizzano il momento storico e l’epoca in cui viviamo. Ritengo che il disagio o il benessere personale abbiano radici sociali e culturali prima ancora che cliniche e individuali. Di questi elementi occorre tener conto per comprendere da quali forze siamo spinti o trattenuti.

Per descrivere il contesto sociale e culturale che caratterizza le nostre società occidentali mi rifarò a diverse descrizioni critiche della realtà. Ecco qua:

SENSO E TECNICA

Il filosofo Umberto Galimberti ci ricorda che la tecnica è l’essenza dell’uomo, ad essa e alla sua razionalità, egli deve la sopravvivenza, dall’alba dei tempi. Progressivamente però, la nostra specie ha ridotto, nei suoi ambienti di vita, lo spazio della natura a favore di un crescente ambiente tecnologico.

L’onnipresente presenza della tecnologia ha modificato la scena su cui l’uomo agisce e, ai nostri giorni facciamo esperienza di come la tecnica, da strumento diretto a un fine, diventi essa stessa un fine. Una presenza cangiante a cui dobbiamo adeguarci in ossequio a un processo che spesso appare più razionale per il mercato e i suoi agenti, piuttosto che per l’uomo utilizzatore finale.

Il combinato disposto della rapida innovazione tecnologica e della pervasività del marketing fanno si che spesso ci si possa sentire all’inseguimento dei prodotti piuttosto che alla soddisfazione dei bisogni. Analogamente le nostre reazioni e i nostri comportamenti quotidiani sono sempre più scanditi dagli input delle tecnologie che, se da un lato ci danno accesso a informazioni e possibilità, dall’altro ci inducono ad essere “spalmati” su un a superficie sempre più ampia, un territorio informativo e di scambi così vasto e fluido da sottrarre molto tempo alla sosta, all’approfondimento, al salutare ritiro dentro di noi. Diventa più difficile separare tempo lavorativo e tempo personale; tempo in cui stare in comunicazione con gli altri e tempo in cui ritrovarsi nella propria intimità.

Nella misura in cui la tecnica da mezzo diventa fine, continua Galimberti, sostituisce l’uomo come soggetto della storia. Nella misura in cui tecnica e mercato non perseguono fini, ma piuttosto risultati, avviene una contrazione della prospettiva di senso.

All’interno di ritmi sempre più incalzanti e di relazioni polverizzate e astratte, i giovani crescono senza consapevolezza dei propri vissuti personali, in una dimensione utilitarista e individualista, dove, tramontato il senso, non rimane che il denaro come unica via di liberazione individuale.

Per Galimberti dunque, il disagio non è tanto psicologico quanto culturale. Viviamo tutti in una triste situazione di isolamento.

TRISTEZZA E SPERANZA

Di tristezza parlano infatti il filosofo M. Benasayag, e lo psicoanalista G.Schmit. Una diffusa tristezza che essi colgono nelle società contemporanee caratterizzate da sentimenti di insicurezza, precarietà e protratta emergenza. Anche con loro possiamo concordare quando affermano che “la crisi non è tanto del singolo quanto il riflesso nei singoli della crisi della società

Nel clima di fretta e di emergenza si contrae la possibilità di pensare, manca il tempo per riflettere. Al tempo stesso si riducono i legami sociali, prevale il si salvi chi può.

Il rapporto genitori figli è reso difficile dalla crisi del principio di autorità, dalla difficoltà di apprendere dalla generazione precedente l’uso di un mondo che cambia velocemente, dalla difficoltà di vedere il futuro, di trovare un lavoro e, dunque di emanciparsi, di crescere, di assumere responsabilità familiari. I giovani, e forse non solo loro, sono intrappolati in un’adolescenza che non mostra uscite per essere superata.

PAURA E RELAZIONI

Un sociologo come Zygmunt Bauman aiuta a capire come la paura sia un capitale la cui gestione travalica i confini nazionali.

Nella società liquida anche la paura lo è. Si vive attendendo che un disastro si compia, che esso sia ecologico, nucleare, sociale o economico. Si vive in modo individualistico, escludendo per non essere a nostra volta esclusi. Nella difficoltà di trovare legami e relazioni solidali e sicure, come dice Bauman “preferiamo riporre le nostre speranze nelle “reti” anziché nelle relazioni”

NARCISISMO E CONSUMO

E’ una società spaventata “dall’insicurezza del presente e dall’incertezza sul futuro”. Una società sempre più impotente che traduce questo stato di apprensione in atteggiamenti e comportamenti che improntano le relazioni intergenerazionali. Ce lo evidenzia un romanziere sensibile come Daniel Pennac parlando della difficoltà di fare scuola: “Ma affinché la conoscenza possa incarnarsi nel presente di una lezione, occorre smettere di brandire il passato come una vergogna e l’avvenire come un castigo.” I giovani reagiscono allora sviluppando un senso di avvenire inaccessibile che, nel negare il futuro, finisce per privare anche del presente.

Se nel mondo in cui la guerra è esplosa si parla di bambini soldato, nelle nostre società caratterizzate da una guerra dei mercati, possiamo parlare, sempre con Pennac, di “Bambini clienti” che si aggirano nella società del consumo, dove l’identità si ammanta di marche.

Una forma patologica caratterizza le nostre società: il narcisismo. I tratti personologici derivanti sono l’emotività fuori controllo, sovra eccitazione derivante da iper stimolazione e ridotta capacità riflessiva. In tale direzione portano le riflessioni di Klaus Strzyz, secondo il quale il ripiegamento su oggetti materiali, come compensazione alla difficoltà di stabilire relazioni gratificanti con il prossimo, appare funzionale alle logiche del consumo. Le componenti narcisistiche sono viste come risultato di un processo di socializzazione che risponde al bisogno economico di creare consumatori e a un bisogno individuale di trovare compensazione ad una carenza nelle relazioni affettive primarie.

Le emozioni e la loro educazione, spiega Daniel Goleman, riportano alla capacità empatica e per questa via all’atteggiamento altruistico. E’ dunque l’altruismo ad essere a rischio e dunque, più in generale autocontrollo e compassione.

NUOVE TECNOLOGIE E NUOVE COMPETENZE

Siamo alla quarta rivoluzione industriale caratterizzata da macchine intelligenti, interconnesse e in collegamento internet. I sistemi fisici sono sempre più connessi a quelli digitali ed è possibile sviluppare analisi su enormi masse di dati (i cosiddetti big data) anche per ottenere adattamenti in tempo reale. Agiranno in questo ambiente robot collaborativi e interconnessi, crescerà il ricorso a stampanti 3D, la realtà aumentata entrerà nel sistema produttivo dove si procederà per simulazioni tra macchine interconnesse. Verranno gestite enormi masse di dati su sistemi aperti e crescerà la sicurezza nella rete. Da queste tecnologie abilitanti ci si aspettano dei benefici in termini di maggiori flessibilità, velocità, produttività, qualità e competitività.

Questo è il linguaggio e la retorica che accompagna questo ulteriore sviluppo tecnologico nel sistema produttivo e nelle vite di tutti noi. Siamo alla soglia di un mondo che può anche apparire affascinante. L’ambiente diventa ancor più controllato dalla tecnologia, così come lo diventano anche i nostri comportamenti. Di certo non conosciamo i nomi e i contenuti delle professioni che svolgeranno i bambini che frequentano oggi le scuole elementari. Di fronte a tutto questo cresce l’incertezza. Proprio in virtù dei cambiamenti repentini e imprevedibili, in modo paradossale si vanno definendo come fondamentali delle competenze assai poco tecnologiche, anzi, spiccatamente umane.

Il World Ecomic Forum ne propone una top ten pensando al prossimo 2020. Eccole a partire dal fondo della classifica: Flessibilità cognitiva – Negoziazione – Service orientation – Capacità di giudizio e di prendere decisioni – Intelligenza emotiva – Capacità di coordinarsi con gli altri – Gestione delle persone – Creatività – Pensiero critico – Complex problem soving.

Interessante notare che, rispetto alla classifica pensata per l’anno 2015 scala la classifica di ben 6 posizioni la Creatività e di due il Pensiero critico. Perde due posizioni la capacità di coordinarsi e tre la Negoziazione. Entra al decimo posto la Flessibilità cognitiva ed escono il Controllo di qualità e l’ascolto attivo. Sembra che ci si sposti dalla capacità di lavorare con gli altri (certo sempre importante) alla capacità di leggere, intervenire e risolvere un ambiente nuovo e sempre più interconnesso.

Insomma in un mondo iper complesso, iper veloce, interconnesso e multitasking sono sempre più utili la consapevolezza di sé, il pensiero sociale e il pensiero creativo.

In questo contesto ad elevato rischio di disagio personale e sociale il Counseling può essere uno strumento che, pur con i suoi limiti, può sostenere le persone nei tanti attraversamenti esistenziali e può accompagnare a sviluppare le competenze personali più richieste oggi e nel prossimo futuro.

Stante la caratteristica non tecnica di molte competenze richieste un bilancio di competenze coniugato con le tecniche e l’approccio del Counseling può rivelarsi un utile strumento per fare il punto della propria situazione professionale ed esistenziale.

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